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Più erba per tutti

di Paolo Borraccetti

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13 gennaio 2010


Un pomeriggio qualunque sul lungomare di Venice Beach, Los Angeles, California. In mezzo a negozi di souvenir di dubbio gusto e ad artisti di strada mi imbatto in una scritta: Medical marijuana evaluations. È lo studio di un medico. Di solito ci vuole un appuntamento. Qui però basta entrare per farsi visitare e presentare i sintomi che rendono necessario l'utilizzo di marijuana medica. Pronto a raccontare una storia improbabile — un incidente sportivo traumatico che mi causa dolori persistenti alla schiena — mi faccio avanti. Il medico è risoluto: «Non mi dire niente. Qui le domande le faccio io, tu rispondi». D'accordo, mi sembra un metodo efficiente. «Soffri di ansia?». Sì. «Fai fatica a dormire?». Sì. «Bene, compila questo modulo e potrai andare ad acquistare la tua marijuana medica nei negozi autorizzati. Poi dovrai fare domanda per la tessera ufficiale, intanto questo è sufficiente». Prezzo della visita medica: 150 dollari. Tempo impiegato: cinque minuti. La rapidità di diagnosi e incasso farebbe invidia a un notaio italiano.

La marijuana medica in California è legale dal 1996, quando un referendum ne approvò l'uso a fini terapeutici. Il provvedimento — noto come Proposition 215 o Compassionate Use Act — nasceva con l'intento di utilizzarla per alleviare soprattutto le sofferenze dei malati di cancro e di Aids. La legge nata da quella consultazione con il passare del tempo ha concesso non solo la possibilità di somministrare la sostanza, ma anche quella di coltivarla e venderla, previa licenza. Nel corso degli anni sono aumentati sia il numero di persone in possesso della tessera, sia le malattie per le quali la cannabis è un rimedio legittimo per sopportare il dolore.
Ciò nonostante, il conflitto tra la norma dello Stato della California (e di altri tredici che si sono aggiunti poi) e il governo federale — per il quale la marijuana è illegale ed è classificata nella categoria delle droghe più pesanti — si è fatto stridente. Durante le amministrazioni Clinton e Bush sono stati abbastanza frequenti i raid degli agenti federali per sequestrare e distruggere le piantagioni, e arrestare chi vendeva la marijuana pur avendo l'autorizzazione. La svolta, che va in direzione di una sostanziale legalizzazione della cannabis, è avvenuta all'inizio dello scorso anno, quando il Ministero della Giustizia dell'amministrazione Obama, Eric Holder, ha deciso di sospendere le retate. Ciò non vuol dire, però, che tutto sia tranquillo, e che gli amanti della "maria" possano rollarsi una canna in pieno giorno senza essere disturbati dalla polizia. Alcune amministrazioni locali hanno reagito in modo opposto. Los Angeles, dopo il pressing di alcuni consiglieri e del sindaco Antonio Villaraigosa, sembra orientata a ridurre il numero di licenze per i negozi che vendono prodotti legati alla marijuana medica.

In questo momento, nella sola contea di Los Angeles gli store sono ottocento. Che ci sia mercato, per la marijuana, non c'è dubbio. Eppure anche in questo settore, che sembra immune alla recessione, bisogna ingegnarsi per ottenere un profitto. Non si possono pubblicizzare in modo aperto i prodotti e quindi — come in un qualsiasi business che si rispetti — si punta alla fidelizzazione del cliente. Una nota catena, una sorta di franchising dell'erba, si chiama The Farmacy e offre ai suoi clienti la carta da presentare a ogni acquisto: al decimo timbro si riceve un regalo, una canna, un tortino o altro. «Quasi tutti i negozi lo fanno — racconta Giorgia, nome de plume di un'italiana che vive a Los Angeles —. Alla Farmacy mi hanno dato un vero e proprio passaporto, solo che nella prima pagina non c'è lo stemma della Repubblica italiana bensì una bella foglia di marijuana».

Giorgia mi spiega che si è fatta la tessera semplicemente perché voleva fumare senza avere problemi. Così racconta la sua esperienza nei dispensaries, dove la cannabis viene venduta: «Si può entrare solo con il pass e i regolamenti sono molto severi. Dentro è un vero e proprio negozio, con vasta scelta di prodotti — come in una farmacia, con promozioni, sconti e commessi che ti danno consigli. Certo, loro sono un po' più freak rispetto a un normale store: una volta ho pagato con 50 dollari e me ne hanno restituiti 65 di resto!». In realtà, molti clienti vanno lì perché hanno davvero bisogno della marijuana per scopi medici: hanno disturbi che vanno dall'artrite all'anoressia e dall'epilessia alla sclerosi multipla. Julie Pifher, oggi giovane aspirante produttrice, ma in passato impiegata in un negozio di West Hollywood, l'Herbal Discount Solutions, racconta: «Ho visto entrare gente di tutti i tipi: anziani malati di cancro, disabili, sieropositivi, giovani. C'è un uso legittimo della marijuana e dei suoi derivati: il lavoro dei dispensaries è aiutare chi ne ha bisogno».

Non c'è da stupirsi del fatto che a Los Angeles il fenomeno sia esploso e sia stato accettato dalla società, grazie anche al ricambio generazionale. Nonostante ciò, c'è ancora una certa resistenza e prudenza, da parte di chi è coinvolto direttamente — come medici e negozianti — a parlare. Molti non vogliono andare on the record. Ciò accade perché le ramificazioni legali di un tale business non sono ancora del tutto chiare. Rimangono zone grigie e situazioni eterogenee: in alcune cittadine, come Sebastopol in California, ci sono più tesserati al locale negozio di marijuana che abitanti. È perché i clienti spesso arrivano dai centri limitrofi, che magari hanno ordinanze restrittive.

  CONTINUA ...»

13 gennaio 2010
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